UN GRUPPO DISSONANTE
“Sì che le cose dissonanti insieme rendan concerto d’armonia divina” (Foscolo).
II Gruppo si é costituito per impulso critico del Prof. Giuseppe Castelli (Storico
dell’Arte di consolidata fama e autore di numerose pubblicazioni) che servì da
stimolo creativo, spronando gli artisti verso i molteplici sentieri della ricerca.
Nel 2010 sette artisti tra pittori, scultori e autori di installazioni col desiderio di
lavorare, confrontarsi ed esporre insieme, si sono incontrati ed hanno deciso di
dialogare, pur seguendo singolarmente un percorso artistico del tutto personale.
Successivamente il numero degli artisti é andato mutando nel tempo: alcuni si
sono allontanati, altri sono arrivati, mantenendo inalterate le energie del gruppo
originario. Le prime mostre, a Pietra de’ Giorgi, Sale, Casei Gerola, Tortona,
Stradella, si svolsero sotto il segno di “quando l’acqua unisce l’arte”, con cui si
voleva in qualche modo caratterizzare il gruppo, formato da artisti provenienti
da entrambe le rive attraversate dal Po, un tempo severo confine di genti e di
stati differenti, ma ora superato e cancellato in nome dell’arte. Fin dall’inizio,
tendenze centrifughe legate alla forte personalità artistica dei suoi autori presero
il sopravvento sul programma unitario portando alla diversificazione del gruppo.
La chiave di coesione fu inoltre favorita dalla rivisitazione della poetica informale
con l’introduzione nelle loro opere di elementi materici e di modi gestuali.
Le successive mostre, a Gravellona, Sale, Voltaggio e Vigevano al Centro Culturale
“R. Scotellaro” e nella Strada coperta in Castello, svolsero il tema delle
“dissonanze armoniche”, in cui l’arte assurge a fine ultimo di unità e armonia
tra gli stili le forme e i caratteri. A dimostrare che la loro arte coesiste ed è sempre
più cementata la loro unione intellettuale, facendo di questo gruppo l’esperienza
più esaltante nel panorama artistico interprovinciale tra Vigevano, Pavia
e Alessandria. Al Gruppo dei sette hanno partecipato artisti delle più varie estrazioni
e culture: Gabriele Armellini, Gianni Bailo, Pietro Bisio, Costanzo Rovati,
Sergio Fava, Francesco Contiero, Niccolò Calvi di Bergolo, Augusta Barriona,
Maurizio Marioli, Gianna Turrin, Anna Gatto, Franco Fasulo, Pier Luigi Gualco,
infondendo al gruppo l’importante spinta delle loro personalità in un deciso e
saldo confronto di stili e di anime. E’ un’associazione di artisti che occupa una
posizione di primo piano nel panorama artistico contemporaneo nostrano. Presenti
in quello stesso anno, il 2010, alle numerose manifestazioni interprovinciali,
questi autori propongono un’arte che rinuncia contemporaneamente sia
all’approccio figurativo sia al formalismo neocubista per un astrattismo non
esente da note impressionistiche. Essenzialmente si ispirano all’astrattismo lirico
francese, partendo dall‘Orfismo e vogliono raggiungere una nuova armonia attraverso
una identificazione poetica con la natura. Non sono né realisti né astrattisti
ma si abbandonano al piacere della materia e degli accordi lirici del colore.
Avremmo voluto scrivere dei “sette” da quando si sono costituiti, nel senso che
avremmo dovuto. Dove volere e dovere si sommano in un‘unica parola. Per
mille motivi questa mostra non si é mai fatta, anche se nelle intenzioni doveva
svolgersi, anche perché due artisti come Pietro Bisio e Sergio Fava hanno avuto
il privilegio (ma privilegiati siamo stati noi, deliziati dalla loro arte) di vincere il
Premio Arte Lunassi. Il premio che ogni anno viene assegnato alla carriera e
anche a giovani promesse, ha visto premiati i più grandi artisti del territorio,
tra i quali Piero Leddi. Giancarlo Marchese, Claudio Magrassi, Marco Mazzoni,
ecc. La manifestazione, unica nel suo genere, quest’anno premierà “tutta
la compagine degli artisti contemporanei (34)” che espongono fino al 25 settembre
alla sede del Circolo lunassese nella mostra “I Contemporanei della
Scuola Tortonese”. Tale riconoscimento, speriamo possa servire per facilitare
gli incontri tra artisti e favorire le possibilità espositive. Mi consola il fatto che
questa mostra, come quella del Gruppo 7 piena di forza, di respiro, di vita, sia
stata e sarà, un accadimento necessario, vero, ineludibile. Ci consola perché,
si sente un ribollire d‘intelligenza e passione, di gesti compiuti fino all’estremo
limite, senza calcoli. Colori della pienezza dentro la precarietà, dello sconquasso
dentro il silenzio. Colori che non sono uno sguardo verso il mondo fisico
ma rivolgono I’occhio verso i fenomeni della coscienza, sprofondando nella visione
interiore. E anche i ricordi delle emozioni sono incanti pericolosi. Forse
saremo almeno in grado di dire qualche parola con passione, senza resistenze
inutili. Di grande potenza e raffinatezza è il gruppo degli scultori: Gianni Bailo,
scultore eclettico che con le varie componenti di cui sono fatte le sue sculture
tradisce l’interesse dell’artista nei confronti del linguaggio delle forme, lasciando
gli elementi strutturali ben in vista anzi a volte arricchendoli con tagli di colori
puri. Niccolò Calvi di Bergolo, nei suoi assemblaggi tende ad associare al ferro
altri materiali, le sue sculture possono essere paragonate a composizioni musicali
non sempre melodiche ma anche spesso, dodecafoniche, dove lo stridere
degli accostamenti in apparenza incongruenti, esaltano la struttura polifonica
con ritmi complessi e linee armoniche, che addomesticano la materia ostica per
natura, al proprio volere. Pietro Bisio trasgredisce su ogni cosa e appare sempre
più un artista nuovo tra i giovani emergenti, anche se é nato nel lontano 1932.
Sergio Fava, ci presenta le sue opere, permeate d’incanti, di assenze, di silenzi,
vibrazioni, ronzii, fuochi immensi, fuochi spenti, cenere. Ci sono pochi pittori,
oggi, che come Sergio sappiano essere così dentro, tanto in fondo al mistero
della pittura. Senza che essa appaia soltando un ricordo. Vi arde senza sosta
un fuoco, vi si scorge un ribollire di intelligenza e passione. Mentre Gabriele
Armellini disintegra il movimento surrealista, alla ricerca della particella infinitesima,
con la precisione chirurgica, e fa del suo astrattismo una ricerca e un
metodo. Infine Gianna Turrin con le sue “terre cotte” funge da elemento di coesione
tra le esperienze che in apparenza sembrano diverse, ma che invece paiono
cementare il gruppo, che non perde occasione di autorigenerarsi con nuovi
ingressi ed esperienze esaltanti come la scultrice allieva ed amica di Giancarlo
Marchese, Emilia Rebuglio che gestisce con sapienza raffinata i suoi cromatismi
e le sfumature come alte trasparenze, dove le sovrapposizioni per dare corpo
al colore creano accattivanti spazi di estrema raffinatezza e ricercatezza, accompagnate
da una gestualità creativa discreta e sensibile. Le estroflessioni di
Luigi Rossanigo sono vere e proprie sculture nel senso alto della parola che raggiungono
tensioni liriche di sapore Wildiano e le pittosculture di Vincenzo Pellitta
che utilizza le recenti tecnologie laser per domare l’acciaio con l’aiuto del
computer, per ridurre all’essenza, l’essenzialità della lezione di Klee e Matisse.
Sono questi gli ultimi ingressi recentemente cooptati a far parte del consesso.
Come ha dichiarato Secondino Cavallero il giorno dell’inaugurazione a Lunassi
nel 2014, questa é certamente una delle mostre più belle mai organizzata a
Lunassi. Lo straordinario successo verrà sicuramente ripetuto anche a Tortona
nei prestigiosi spazi di Palazzo Guidobono. Nella speranza di riavere ancora
simili esperienze, ringraziamo il Comune di Tortona ed in particolare l’Assessore
alla Cultura dottoressa Marcella Graziano, per aver messo a disposizione dei
“nostri” artisti questi spazi prestigiosi.
STUDIO D’ARTE E RESTAURO GABBANTICHITA’
Vincenzo Basiglio e Donatella Gabba
NOTA CRITICA a cura di Giuseppe Castelli
Gabriele Armellini propone una pittura sofisticata, elegante, cerebrale,
a prima vista di difficile accesso, costituita da un tessuto cromatico complesso
ed affascinante, che spinge la sua ricerca verso dimensioni, che sono
solo dominio del pensiero, ben lontano da una realtà più tranquilla ed appagante.
Una chiave di lettura vera e propria non esiste ma, per entrare in sintonia
con questo mondo di rarefatte costruzioni astratte ed afferrarne il fascino
misterioso, è necessario guardare alla musica e alle variazioni delle cadenze
ritmiche che propone e che ne costituiscono l’essenza profonda.
Attraverso questa via è possibile seguire il filo di una pittura fatta di colori
splendenti, che fluisce con motivi ora dolci, ora vibranti, ora gioiosi, ora
cupi, seguendo attraverso il gioco cromatico le note di un’immaginaria sinfonia
musicale ancora tutta da scrivere ma già presente sulla tela nelle armonie
suggerite dal colore.
Come la musica esse non vanno cercando un riferimento con il mondo reale
ma trovano giustificazione in se stesse e nel ritmo cromatico che le anima e
le fa vivere, modulandole sulle note del virtuale spartito, che dona loro il
pennello dell’artista. Passato da una ricerca spaziale portata avanti per
molti anni ad una più profonda ed intima riflessione sull’uomo e le sue emozioni,
Gianni Bailo ha oggi intrapreso una sorta di deciso ritorno al figurativo.
Prima era stato lo studio delle mani e del loro movimento ad aprire
uno squarcio verso affetti e moti dell’animo umano, ora sono invece i volti
ad essere assunti come interpreti assoluti di sentimenti ed atteggiamenti psicologici,
che l’artista rileva attraverso uno studio attento e preciso dell’anatomia
del volto umano, in una sorta di riscoperta della fisiognomica e delle
sue regole.
Una vena amara, che sa di inganno e solitudine, percorre tutta quanta la
produzione di Pietro Bisio, mescolando convinzioni ideologiche e personali,
vicende in un continuo rincorrersi di presente e passato in un intreccio
convulso difficile da districare.
A fronte di un’ispirazione tanto vigorosa quanto disordinata, la realizzazione
di ciascuna opera appare frutto di un ordine mentale ed un gusto pittorico
e cromatico di rara lucidità e freschezza. I delicati equilibri della
composizione sono sempre accuratamente valutati e soppesati, l’artista infatti
non sa mai rinunciare ad una personale ricerca estetica, anche nei passaggi
più problematici di intenso reimpiego di materiali reperiti chissà dove
ed incastrati con la massima cura sopra lo spesso letto di colore steso sulla
tela. Nulla di casuale accade mai nelle tele di Bisio, dove anche l’incontro
scontro dei colori risulta meditato e studiato a fondo.
Una vulcanica attività di progettazione si concretizza in una ricerca geniale
di forme libere nello spazio e di insolite volumetrie, spesso ottenute anche
attraverso l’assemblamento di oggetti dismessi e recuperati.
Sperimentatore instancabile e geniale, Niccolò Calvi saggia i materiali
più diversi, dalla pietra al ferro al legno alla docilissima carta, trovando armonie
sconosciute attraverso il movimento dell’insieme o di una parte delle
sue creazioni, che mediante una sorta di tecnica del “deplacement” si propongono
in modo sempre diverso e nuovo agli occhi dello spettatore.
La pittura di Sergio Fava si esalta in un interiore e personalissimo “Sturm
und drang”, che spinge l’artista a riversare sulla tela la forza espressiva di
una natura in cui ragione e passioni si scontrano in una battaglia dall’esito
sempre incerto.
Per Vincenzo Pellitta, la regolarità, la misura e la perfetta ripartizione
dello spazio si fanno poesia.
L’artista muove dal riutilizzo di ritagli metallici altrimenti di scarto in pausate
composizioni di grande respiro per giungere a voluti modelli ottenuti attraverso
il taglio laser delle produzioni successive. Gli specchianti non sono
che un più tardo utilizzo del metallo splendente che, unitamente alla presenza
di motivi rigidamente geometrici, propone l’indiscutibile fascino dello
specchio, in cui il mondo esterno con tutta la sua mobilità e varietà interloquisce
con l’opera d’arte, diventandone parte integrante.
Per Emilia Rebuglio, le sue “waste land” sono mondi sconvolti da catastrofi
immani, devastati da forze oscure e incontrollabili che ci consegnano
una natura corrosa e sanguinante. Sotto le mani di Emilia il fuoco e gli acidi
hanno divorato la materia, riconducendoci all’origine della vita e agli sconvolgimenti
prodotti da una primordiale energia che creava e distruggeva
con la stessa identica violenza e noncuranza.
L’estroflessione per Luigi Rossanigo si fa monumentale, vero e proprio altorilievo,
che muove la tela, creando profonde linee d’ombra, che scuotono
la luce chiara e immacolata che scorre lungo le ampie superfici lisce. La
forza creativa dell’artista ha fatto saltare ogni misura geometrica e spaziale,
inventando forme sempre più indocili e irregolari, che danno all’opera una
forza drammatica inusitata. Proprio nella drammaticità del trattamento della
superficie sta tutta l’originalità di Rossanigo, che trasforma un’arte asettica
e controllata in una sorta di drammatico grido di ribellione, che infrange
regole e consuetudini consolidate.
Per Gianna Turrin l’argilla è materiale fantastico che permette con la manipolazione
la possibilità di lasciare tracce e segni rendendo più incisiva e
immediata la comunicazione del messaggio; per questo la scruta, la scava,
la modifica. Con linguaggio innovativo e nello stesso tempo arcaico, ci riconduce
all’archeologia mediterranea, all’origine del pensiero e a un confronto
tra ciò che è stato, ciò che è e ciò che dovrebbe essere. La classicità
del materiale e nello stesso tempo la sua povertà, uniti alla capacità, alla
padronanza e all’ecletticità dell’artista, producono risultati talvolta impro-
babili e spiazzanti in un gioco di recupero dello storico mescolato al contemporaneo,
in una dimensione poetica tra la scultura e l’installazione. C’è
quindi incessante ricerca, profonda e puntuale attenzione al nostro passato
che si proietta in questo disorientamento del nostro presente.
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